Due dialoghi sentenziosi, arguti e ridicolissimi
di Angelo Beolco, detto Ruzante
spettacolo della rassegna 'Teatro in Museo'

 

 

La traduzione dal 'pavano', lingua parlata nella zona di Padova in epoca rinascimentale, ossia, il periodo storico in cui visse Ruzante, è di Ludovico Zorzi.

 

Sinossi
La vicenda si svolge all'interno della città di Venezia, con lievi variazioni a seconda dei dialoghi. Ne Il parlamento la scena è unica, mentre in Bilora i campi visivi si distribuiscono tra strada e casa di Messer Andronico, signore veneziano.
I personaggi, appartenenti a distinte situazioni, si differenziano in modo netto in due categorie principali: i personaggi marito/moglie o compagno/compagna, che svolgono la loro azione in relazione a battute caratteristiche delle strutture letterarie dei mariazi (matrimoni), e i personaggi amici/nemici, che fungono da elementi di supporto o di contrasto alla narrazione.
Nel primo dialogo Il parlamento, Ruzante (personaggio interpretato dallo stesso autore Angelo Beolco, nel XVI secolo), villano tornato dalla guerra, rincontra il suo compare Menato, con cui ha un dialogo consistente, e la sua ormai ex-moglie Gnua, che non ne vuole più sapere di lui. Nel secondo dialogo Bilora (titolo prelevato dal nome del personaggio principale), il protagonista, anch'egli reduce, va alla ricerca di sua moglie Dina, rapita da un vecchio signore veneziano, messer Andronico, con lo scopo di riprenderla con sé. In entrambi i dialoghi l'azione viene costruita in funzione di un personaggio cardine attorno a cui ruotano gli altri, e da cui si scatenano una serie di questioni, incomprensioni, liti e battibecchi a ritmo sostenuto, tipici della comicità più alta, quella amara e leggera allo stesso tempo.
In tutto lo svolgimento delle vicende proposte dai due dialoghi, i personaggi non propongono alcuna evoluzione drammaturgica, restando fedeli a se stessi, al loro modo di esprimersi, alle esposizioni verbali acquisite, alle azioni compiute, e alle convinzioni scaturite dal loro mondo e dal contesto storico di riferimento.

 

    

    

    

    

 

IL PARLAMENTO

Personaggi
Ruolo in ordine di apparizione

Ruzante villano, reduce del campo
Menato suo compare
Gnua sua moglie
un bravo soldato (che non parla)

La scena si rappresenta in Venezia

 


Scena 1
Ruzante solo

Ruzante (sbuca ansimante dal fondo e avanza fin quasi al proscenio. È lacero e sporco, coperto di polvere. Si guarda intorno, asciugandosi il sudore che gli cola di sotto l'elmetto) Ah, ci son pur arrivato a questa Venezia! Che mi sono augurato più io di arrivarci, che non si augurò mai di arrivare all'erba nuova una cavalla magra e imbolsita. Mi rifarò pure. Godrò pure la mia Gnua, che c'è venuta a stare. (sbuffa) Canchero ai campi, alla guerra, ai soldati, e ai soldati e alla guerra! So che non mi ci acchiapperete più, al campo! Non sentirò più quei rumori di tamburini, come sentivo, né trombe, né gridar "all'armi"… Ora non avrai mica più paura, no? Che quando sentivo gridar "all'armi!", parevo un tordo che avesse avuto una frecciata. E schioppi, e artiglierie… So che non mi raggiungeranno. Sì, ora mi daranno nel culo! (ride). Frecce, ora, scappare? Dormirò pure i miei sonni. Mangerò pure, che mi farà pro. Potta! Che quasi, qualche volta, non avevo comodo di cacare, che mi facesse pro. Oh, Marco, Marco! Son pur qua, al sicuro. Canchero, ho fatto presto a venire. Credo di aver fatto più di sessanta miglia al giorno. Sono venuto in tre giorni da Cremona fin qua. Po! Non c'è poi tanta strada come dicono. Dicono che da Cremona a Brescia c'è quaranta miglia. Sì, c'è un attimo! Non ce n'è neanche diciotto. Da Brescia a Peschiera dicono che ce n'è trenta. Trenta? Ma sì, coppe! Non ce n'è neanche sedici. Da Peschiera a qui, quanto ci può essere? Ci sono venuto in un giorno. È vero che ho camminato tutta la notte. Oh sì, un falchetto non volò mai tanto quanto ho camminato io. In fede mia, che mi dolgono bene le gambe. Eppure non sono neanche stanco. (si stiracchia) Caspita, la paura mi cacciava, il desiderio mi ha portato. Credo che le scarpe l'abbiano pagata loro. Le voglio vedere. (si osserva, a turno, le suole delle scarpe) Te lo dicevo, io? Che il canchero mi mangi! Lo vedi che ne ho dissolata una? Ci avrò guadagnato questo, in campo! Che il canchero mi mangi, sì! Se avessi avuto i nemici al culo, non dovevo camminar tanto. Ho fatto un bel guadagno! (si guarda intorno) Ma forse sono in un luogo dove potrò rubarne un paio, come feci con queste, che rubai in campo a un villano. Davvero, non sarebbe male stare al campo per questo rubare, se non fosse che ci si pigliano delle gran paure. Al diavolo la roba! Sono qua, al sicuro, e quasi non credo di esserci. E se sognassi? Sarebbe proprio una porcheria. So bene che non sogno, poi. Non sono montato in barca a Lizzafusina? Sono pur stato a Santa Maria del bel Fantino a sciogliere il mio voto. E se io non fossi più io? E fossi stato ammazzato in campo? E fossi il mio spirito? Sarebbe ben bella. (cava in fretta dalla bisaccia un tozzo di pane e lo addenta) No, canchero! Gli spiriti non mangiano. (a bocca piena) Sono io, e sono vivo. Così sapessi dove trovare la mia Gnua, o mio compare Menato, che so che anche lui è qui a Venezia. Canchero! La mia femmina avrà paura, adesso, di me. Bisogna che mostri di essere diventato un bravaccio. Eh, in ogni modo sono diventato un bravaccio, ma tirato dai cani. Mio compare mi domanderà del campo. Canchero! Gli dirò grandi cose. (pausa; guarda verso il fondo) Ma mi pare che sia quello. È proprio lui. Compare, o compare! Sono io, Ruzante, vostro compare.

 


Scena 2
Menato e Ruzante

Menato (sopraggiungendo) Compare! Ma siete proprio voi? E chi vi avrebbe mai riconosciuto? Siete così patito che sembrate un luccio fritto. Non vi avrei mai riconosciuto, compare. Ma siate il benvenuto.
Ruzante (smontato) Patito, vero, compare? Se voi foste stato dove sono stato io me, non direste così.
Menato Venite adesso adesso dal campo? O siete stato ammalato? O in prigione? Avete una brutta cera, compare. Sembrate uno di questi traditoracci. Perdonatemi, compare, ho veduto cento impiccati che non avevano una cera così brutta come avete voi. Non dico, compare – intendete? – che abbiate una brutta cera come uomo – intendete? Ma che siete pallido, marcio, affumicato. Canchero! Dovete aver avuto una stretta da cani.
Ruzante (grave) Compare, sono gli elmetti di ferro che fanno queste brutte cere. Tanto quanto pesano, tanta carne tirano giù. (si toglie l'elmetto e lo posa a terra) E poi, il mal bere, il peggio mangiare... Se voi foste stato dove sono stato io me! (sospira)
Menato Canchero! Parlate difficile, compare. Avete cambiato lingua: parlate alla fiorentinesca, [come quelli] di Brisighella.
Ruzante (vissuto) Eh, compare, chi va per il mondo fa così. E poi io ero con i brisighellesi di Urbino, e parlavamo in questo modo. Me poi, se parlassi francese, non mi intendereste. Imparai dalla paura a parlarlo in un giorno. Canchero! Sono superbiosi quando dicono: "Vilain, cochin, pagiar! Per le San Diú, ti mangerò la gola!"
Menato (impressionato) Che il canchero li mangi loro! Intendo bene, compare, quel "mangiargli la gola"; ma non intendo le altre parole. Spiegate [mele], volete, compare?Ruzante Volentieri. "Vilain" vuol dire villano, intendete? "Cochin" vuol dire un cucco, un becco: villano becco. "Pagiar", una casa di paglia, perché stiamo in case di paglia: villano becco, che sta in case di paglia. "Per le San Diú", per l'amor di Dio.
Menato Mentono proprio per la gola. Le paghiamo ben care, [quelle case]!
Ruzante (torvo) Ma! Così fossero impiccati i padroni!
Menato (dopo una pausa) Poh, compare! Avete un gabbano più lungo di questo giubbotto di cuoio.
Ruzante Mah! Lo presi così a un villano [perché avevo freddo, io], a un villano di quel paese. Canchero! Sono dei brutti rospi, i villani: per un quattrino, lascerebbero spasimare uno.
Menato Poh, compare, ora credo che, perché siete soldato, non pensate di essere della villa, voi.
Ruzante No, compare. Io dico – intendete  quel che dico? – io voglio dire che loro non hanno quel garbo che abbiamo noi padovani. Villano è chi fa le villanie, non chi sta nelle ville.
Menato (annusando l'aria) Canchero, compare, mi sapete non so che strano odore...
Ruzante O che odore? Non è un cattivo odore, è odore di fieno; ché ho dormito per quattro mesi sempre sui fienili. Vi so dire che i letti non mi…
Menato (interrompendolo) Fermo, compare! Credo che questo (gli acchiappa qualcosa sulla giubba, con due dita) sia un cardellino senz'ali.
Ruzante Oh, non parlatemi dei pidocchi! Le briciole del pane, al campo, quando cadono addosso, subito mettono i piedi e il becco, e diventano pidocchi. Il vino, quando lo bevi [perché sempre si ha voglia di far male, e perché non se ne può far tanto come si vorrebbe], fa venire chiazze e cattivo sangue, e butta scabbia, croste, rogna e pustole per tutto il corpo.
Menato Vedo bene, compare, che ne siete pieno. Non dovete aver potuto menare le mani a guadagnare, come pensavate, a far bottino, vero?
Ruzante Mah, non ho guadagnato né saccheggiato niente, io. Mi sono perfino mangiato le mie armi.
Menato Come, canchero? Sareste mai diventato così feroce da mangiare il ferro?
Ruzante Compare, se voi foste stato dove sono stato io me, avreste imparato anche voi a mangiare ferro e gabbani. (vissuto) Le ho vendute alle osterie per mangiare, ché non avevo denari.
Menato Ma non guadagnavate, quando pigliavate qualche prigioniero, di quelli dei nemici?
Ruzante Ma sì, compare! Non ho mai tirato a far del male agli uomini, io. Perché volete che li pigli? Che mi hanno fatto, a me? Tiravo a pigliare qualche vacca, io, o qualche cavalla, e non ho mai avuto fortuna.
Menato Sangue di me, compare! Avete una brutta cera. (dopo una pausa) Non avete nemmeno una cera da soldato valoroso. Quasi quasi, nessuno crederebbe che foste stato al campo. Io credevo di vedervi tornare con il volto tagliato, o storpio d'una gamba o di un braccio, o senza un occhio… Basta, vi è andata bene. (beffardo) Ma non avete niente, no, del mangia catenacci coraggioso…
Ruzante Ci vuol altro che aver dei volti tagliati o storpiati, per essere coraggiosi! Ci vuol altro che quello, per esserlo! Credete che avrei paura, io, di quattro che avessero il volto sfregiato? No, non gli saprei rompere gli stinchi? Sì, avrei freddo! Sarebbero i primi. Credo che mi farebbero uscire dai gangheri [?].
Menato (ammiccando) Compare, mi sembra che non vogliate tornare più al campo, vero? Ho buon intuito, vero?
Ruzante Che so io? Se pagassero, e non facessero i mesi di cento giorni, ci potrei anche tornare.
Menato Potta! Ci siete andato con tanto animo, e siete tornato così cambiato.
Ruzante (con pena) Eh, compare, se voi foste stato dove sono stato io me!
Menato Avete avuto qualche buona stretta, vero? Ho buon naso, vero?
Ruzante No: voglio dire che è la malora a non aver di che alzare.
Menato Che vuol dire "alzare", eh, compare? Mi sembra che parliate tedesco, a me.
Ruzante Parliamo così al campo. "Alzare" vuol dire mangiare, "sguazzare" vuol dire trionfare.
Menato Potta! Avrei inteso domani, io: "alzare", quando si alza uno da terra, che gli danno i tratti di corda, e "sguazzare", quando si passa l'acqua senza ponte. Va' là, intendi tu! Siete mai stato in qualche scaramuccia, caro compare, dite?
Ruzante Eh, magari non ci fossi stato! Non perché abbia avuto paura, o male, intendete, compare? Ma perché i nostri si lasciarono travolgere: quelli che erano davanti [perché io ero di dietro, da caposquadra, da caporale], quelli si misero a scappare, e [allora] convenne scappare anche a me, da valentuomo. Uno solo contro tanti, intendete quel che dico, compare? Chi resisterebbe? Corsi di un bel correre, e avevo quella bella spada storta che sapete, e la buttai via, che [se potessi] la riscatterei per tre troni.
Menato Ma perché canchero la buttaste via?
Ruzante Eh, compare, se voi foste stato dove sono stato io me! Non bisogna essere minchioni, vi so dire. Buttai via la storta perché, quando non ne potei più, per scappare mi confusi con loro; e perché loro non hanno armi di quel genere, acciò, che non mi riconoscessero, la buttai via, io. E poi perché non si mira a colpire uno che non ha armi – intendete  quel che dico, compare? Gli uomini senza armi fanno compassione e pietà, intendete?
Menato Intendo, certo. Ma, e con la croce, come avete fatto?
Ruzante Compare, la mia croce era da un lato rossa e dall'altro bianca: e io di un colpo la rivoltai. Babao! Non bisogna essere coglioni, vi so dire, mi son fatto scaltro. Da quella volta in poi, quando i nostri erano alle mani, io stavo, vi so dire, sulle ali, così… intendete? (Si pone in posizione di rincorsa, sollevato sulla punta di un piede).
Menato (sghignazza) Eh, se intendo! Pensavate da che parte scappare…
Ruzante Sì: non tanto per scappare, quanto per salvarmi, intendete? Perché uno solo non può far niente contro tanti, come sapete.
Menato Quando eravate in qualche scaramuccia, ditemi francamente, compare, dicevate mai: "Oh, fossi a casa!", così per vostro conto, piano? Dite pure, che in ogni modo, con me – intendete, compare? – potete parlare come volete.
Ruzante Oh, compare, se voi foste stato dove sono stato io me, [ne] avreste fatto anche più di quattro, dei voti. Che credete che sia, essere in quel paese? Che non conosci nessuno, non sai dove andare, e vedi tanta gente che dice: "Ammazza, ammazza! Dàgli, dàgli!". Artiglierie, schioppi, balestre, frecce; e ti vedi qualche tuo compagno morto ammazzato, e quell'altro che ti è ammazzato vicino. E quando credi di scappare, vai in mezzo ai nemici; e a uno che scappa, vedi dargli una schioppettata nella schiena. Vi dico che ha un gran coraggio, chi si mette a scappare. Quante volte credete che io abbia fatto il morto, e mi sia lasciato passare sopra i cavalli? Non mi sarei mosso neanche se mi avessero messo sopra il monte Venda! Vi dico la verità, io; e così mi pare che chi sa difendere la propria vita, quello sia un valentuomo.
Menato Ma, canchero, non addocchiavate mai qualche salice bucato, o qualche rovere da arrampicar [vici] su, o qualche siepe, per un bisogno, intendete?
Ruzante Mah, in fede mia, no, compare. A dirvi la verità, no perché non l'avessi fatto in caso di bisogno, ma perché non è [una via] troppo sicura. Preferisco correre dieci miglia, piuttosto che restare in pericolo. Se voi foste stato dove sono stato io me, compare, vi sareste augurato più di quattro volte [di avere] le ali! Vi dico che un giorno fummo battuti in una scaramuccia, e scappando, uno con un cavallo, che scappava anche lui, mi pestò su un calcagno e mi tolse la scarpa. Guardate, non mi fermai neanche a prenderla su, per la fretta. La bella [storia] fu che mi scorticai tutto un piede, perché correvamo per non so che ghiaie. Non avrei preso su neanche un occhio! Sicché non parlate, compare, di nascondersi o di imbucarsi. Parlate invece di scappare finché si ha fiato. Credete che se scappando viene la cacarola, che si stia a perder tempo? Ma sì, coppe! E si sa che ogni volta che capitano di queste cose, si muove il corpo e si impegolano le brache. E il signor Bartolomeo, che faceva tanto il gradasso a Vicenza, non si cacciò nell'acqua per scappare? Eppure vedeva che gli altri annegavano. E corse a Padova a imbucarsi, no? Non parlate. Parlate invece di scappare finché c'è fiato. Vi dico che non conta essere valoroso. Lo so ben io, che non ho paura di un altro, fossero pure in quattro! Quando il fronte è rotto, Rolando [stesso] scapperebbe.
Menato Non vi do torto. Ma quando andaste al campo, dicevate di fare e dire e pigliare e saccheggiare e farvi ricco. Che vi dicevo io?
Ruzante (avvilito) Oh, ma sono stato disgraziato. Ma ho imparato a conoscere il mondo, infine!
Menato (dopo una pausa) Dunque, compare, siete stato tanto lontano? Ditemi un po' di quel paese.
Ruzante (rianimandosi) Oh, non domandatemi se sono stato lontano! Sono stato fino alla Ghiaradadda, dove avvenne quel fatto d'armi in cui furono ammazzati tanti dei nostri. Compare, non vidi se non cielo e ossa di morti.
Menato Canchero! Siete stato molto lontano. E in che modo parlano, in quel paese? Si intendono? Sono uomini fatti come noi? Di carne – intendete? – come siamo noi?
Ruzante Sono uomini di carne come siamo noi. E parlano come facciamo noi, ma malamente, come fanno questi ambulanti che vanno come facchini con le gerle per la villa. Eppure sono battezzati, e fanno il pane come lo facciamo noi. E si maritano e fanno figli, proprio come facciamo noi. Si innamorano, anche; ma è vero che questa guerra e i soldati gli han fatto andare l'amore via dal culo.
Menato Che territorio è quello? Sono buone terre?
Ruzante Mah, come qui: salici e pioppi, vigne e frutteti.
Menato Ci sono terre a buon mercato, in quel paese? Dico, per i par nostri che volessero andare a star là, intendete?
Ruzante (reciso) Non parlate, compare: v'intendo. Non ci stareste mai [bene]. Non vi partite dal Pavano. Il Pavano, dite? Lasciamo andare queste storie. (pausa) Compare, è un buon pezzo che vi volevo dire questo, ma voi mi avete fatto sempre parlare d'altro. Ora lo dirò: che ne è della mia femmina, della Gnua vostra comare?
Menato Sta bene, compare. Ma è diventata altera. Canchero! Non si degnerà più. Quando voi partiste, si è messa a stare con non so che garzoni di stalla del Cardinale, lì a Padova; e poi, quando essi sono partiti, è venuta qui a Venezia, e ora sta con non so che galeotti, con dei bravacci, di questi tagliacantoni. Volete altro? Che non mi ha più voluto riconoscere per compare. Perché io, per amor vostro – intendete, compare? – ci andavo anch'io da lei, intendete? In fede mia, che è diventata bravaccia: non vi riconoscerà più. E poi, siete così sbrendolato… (lo guarda con commiserazione)
Ruzante (calmo) No, compare. Quando mi vedrà, vedrete che mi farà buona accoglienza.
Menato (con sarcasmo) Dio lo voglia, ma io non credo.
Ruzante Sapete dove sta? Andiamo pure a trovarla. (fa per avviarsi)
Menato (trattenendolo) Ma, compare, bisogna che guardiamo come andiamo, perché quelli sono dei bravacci.
Ruzante (superiore) Poh! E chi è più bravaccio di me? Se quelli sono dei bravacci, io sono bravaccio e bramoso, che è assai di più. Se mi ci metto intorno con quest'asta (crolla minacciosamente la lancia che non ha mai abbandonato da quando è entrato in scena), vedrete bene che si vedrà se sono stato al campo. Gli menerò giù addosso… così, vedete, compare… due colpi di punta e una bastonata! (eseguisce mimicamente, in disordine) Che credete, compare? Sono diventato un bravaccio, adesso. Quando sono alle mani, né amicizia né parentela: vado tanto in collera che non riconosco nessuno. Che credete? Io vi voglio bene, compare, come sapete: eppure, se fossi alle mani, darei tanto a voi come a loro. Perché divento rabbioso, intendete?
Menato Eh, canchero! Se foste alle mani, non sarebbe prudente starvi vicino.
Ruzante Oh, credo proprio di no, toglietevi pur via! Andiamo, caro compare, non abbiate paura.
Menato Vi dico, compare, che è un rischio! Poca botta ammazza un uomo.
Ruzante Via, compare! Ma come avreste fatto, se foste stato dove sono stato io me, che ne ho avuto addosso tre migliaia alla volta? Andiamo, non abbiate paura, fino a che mi vedete questo lanciotto in mano. (agita la lancia)
Menato (accennando al fondo) Toh, guardatela, compare, è qui che viene. È lei, sicuro.
Ruzante (volgendosi a guardare) È lei di certo. Ora vedrete se non mi farà carezze. (grida) Ehi là, ehi là, a chi dico, io? O compagnona! Non mi vedi? Sono pur tornato, tu che dicevi che non sarei tornato mai più… Sono pur qua!

 


Scena 3
Gnua, Ruzante e Menato

Gnua (passa indifferente sul fondo. Alle grida festose di Ruzante volge appena il capo verso di lui. Il tono della sua risposta è gelido e sprezzante) Ruzante? Sei tu? Sei vivo ancora? Potta! Sei così stracciato, hai una tal brutta cera… Non hai guadagnato niente, vero o no?
Ruzante Ma non ho guadagnato assai per te, se ti ho portato la carcassa viva?
Gnua Oh, la carcassa! Mi hai ben pasciuta. Vorrei che tu mi avessi preso qualche gonnella per me.
Ruzante (tentando un ammicco) Ma non è meglio che sia tornato sano di ogni membro, così come sono?
Gnua Ma sì, membro in culo! Vorrei che tu mi avessi preso qualcosa. (rapida pausa) Su, ora voglio andare, ché sono aspettata.
Ruzante Potta! Ma hai proprio una gran fretta al culo! Aspetta un po'.
Gnua (calma) Ma che vuoi che faccia qui, se non hai niente da fare con me? Lasciami andare.
Ruzante Oh, canchero a quanto amore ti ho portato! Ti vuoi subito andare a imbucare, e non pensi che io sono venuto dal campo apposta per vederti.
Gnua E ora non mi hai veduta? Non vorrei, a dirti il vero, che tu mi rovinassi, ché ho uno che mi fa del bene, io. Non si trovano mica ogni giorno di queste fortune.
Ruzante (senza scomporsi) Poh, ti fa del bene! Te l'ho pur fatto anch'io. non ti ho mai fatto del male, come sai. Quello non ti vuole certo tanto bene come ti voglio io.
Gnua Ruzante, sai chi mi vuol bene? Chi me lo mostra.
Ruzante Ma sì, come se io non te l'avessi mai mostrato…
Gnua Che mi fa che tu me l'abbia mostrato, e che non me lo possa mostrare adesso? Perché adesso ne ho anche bisogno. Non sai che ogni giorno si mangia? Se mi bastasse un pasto all'anno, potresti parlare. Ma bisogna che mangi ogni giorno, e perciò bisognerebbe che tu me lo potessi mostrare anche adesso, perché adesso ne ho bisogno.
Ruzante Oh, ma si deve pur fare differenza tra uomo e uomo. Io, come sai, sono uomo dabbene e uomo compito…
Gnua (interrompendolo) Sicuro che la faccio! Ma c'è anche differenza tra star bene e star male. Senti, Ruzante: se io sapessi che tu mi puoi mantenere – che mi fa a me? – ti vorrei bene, io, intendi? Ma quando penso che sei un poveruomo, io non ti posso vedere. Non che voglia male a te, ma voglio male alla tua disgrazia; ché ti vorrei vedere ricco, io, acciò che stessimo bene, io e te.
Ruzante (avvilito) Ma se sono povero, sono almeno leale…
Gnua E che me ne faccio, io, delle tue lealtà, se non me le puoi mostrare? Che vuoi darmi? Qualche pidocchio, forse?
Ruzante Ma sai pure che, se avessi, ti darei, come ti ho già dato. Vuoi che vada a rubare e a farmi impiccare? Mi consiglieresti così?
Gnua E tu vuoi che viva d'aria, e stia qua a sperare in te, e che muoia all'ospedale? Non sei mica un buon compagno, in fede mia, Ruzante! Mi consiglieresti così, tu?
Ruzante Potta! Ma io ho una gran passione per te, io spasimo. Ma non hai pietà?
Gnua E io ho invece una gran paura di morire di fame, e tu non ci pensi. Ma non hai coscienza? Ci vuol altro che vendere radicchio o borragine! Come faccio, in fede mia, a vivere?
Ruzante Potta! Ma se tu mi abbandoni, morirò d'amore. Muoio, ti dico che spasimo…
Gnua E a me l'amore m'è andato via dal culo, per te, pensando che non hai guadagnato come dicevi.
Ruzante Potta! Hai ben paura che [la roba] ci manchi. (ammicca) Non manca mai, [se si va] a rubare…
Gnua Eh sì, hai proprio un gran cuore, e triste gambe. Non vedo niente, io. (lo guarda con disprezzo da capo a piedi)
Ruzante Potta! Ma sono appena arrivato qui…
Gnua Ma sono pur quattro mesi che tu partisti.
Ruzante E sono anche quattro mesi che non ti ho dato fastidio.
Gnua Ma non è mica abbastanza questo che mi dai adesso, perché me lo immaginavo, io, che sarebbe andata così, che saresti tornato furfante.
Ruzante Ma è stato per mia disgrazia…
Gnua E portane anche la penitenza, tu. Vuoi che la porti io, vero, compagnone? Ti sembrerebbe giusto? Credo proprio di no.
Ruzante Ma non ne ho già colpa io…
Gnua Ma sì, l'ho io, Ruzante! Chi non si mette a rischio, non guadagna. Io non credo che tu ti sia cacciato troppo avanti per guadagnare; ché ti si vedrebbe pure qualche segno. Se Dio m'aiuta, [giurerei che] tu non sei nemmeno stato al campo. Tu sei stato in qualche ospedale. Non vedi che hai fatto tutta la cera del furfante?
Menato (che ha assistito in disparte al litigio, ora interloquisce) Vedete, compare, se è come vi dico io? Poi dite voi di [non] avere il viso tagliato o sfregiato. Non sarebbe stato meglio per voi? Così lei crederebbe che foste stato soldato e valoroso.
Gnua (a Menato) Compare, vorrei piuttosto che avesse perso un braccio o una gamba, o [che gli fosse stato] cavato un occhio, o tagliato il naso, e che si vedesse che fosse stato avanti da valentuomo, e che l'avesse fatto per guadagnare, o per amor mio – intendete, compare? Non che io lo faccia, compare – intendete? – per la roba; ché a me [la roba] – intendete? – non può mancare. Ma perché pare che lui abbia fatto poco conto di me, che sia stato poltrone e si sia portato da poltrone, intendete? Mi promise di guadagnare o di morire, e invece è tornato come vedete. Non ce io volessi, compare, che avesse del male. Ma chi crederebbe che fosse stato al campo?
Menato V'intendo, comare. In nome di Dio, avete ragione. Glielo ho detto anch'io. Voi vorreste un segno che fosse stato avanti; almeno, così, una graffiatura… (Accenna a descriverla sul volto di Ruzante)
Gnua Sì, che potesse dire e mostrarmi: "Ho questa per amor tuo".
Ruzante (scoppiando) Oh, in malora la roba e chi mai la fece!
Gnua (di rimbalzo) Oh, in malora i dappoco e i traditori senza fede! Che mi avevi promesso?
Ruzante (di nuovo umiliato) Ti dico che sono stato disgraziato.
Gnua Ora sì, Dio m'aiuti, che dici il vero. E io ora, che sto bene e che non sono disgraziata, per non diventare disgraziata, non voglio più impicciarmi con te. E fa' i fatti tuoi, che io farò i miei… (guarda verso il fondo) Oh, peste! Vedi appunto il mio uomo. Lasciami andare.
Ruzante (furioso) Me ne infischio del tuo uomo! Non conosco altro tuo uomo al mondo che me. (l'afferra per un braccio e fa per trascinarla via)
Gnua (grida divincolandosi) Lasciami andare, disgraziato, buono a niente, furfante, pidocchioso!
Ruzante (tentando di trascinarla) Vieni con me, ti dico. Potta, che mi farai… Non mi fare infuriare! Tu non mi conosci: non sono più [tipo] da lasciarmi menare per il naso, come facevi.
Menato (con sarcarsmo) Comare, andate via, che non vi ammazzerà.
Gnua (che è riuscita a svincolarsi, corre verso il bravo che sopraggiunge, gridando) Vada ad ammazzare i pidocchi che ha addosso!

 


Scena 4
un bravo

(il bravo si fa avanti, affronta Ruzante e gli somministra una scarica di bastonate. Ruzante si lascia subito cadere a terra, senza tentare la minima difesa. Menato si scosta e rimane a guardare. Il bravo infierisce ancora sul caduto; poi agguanta la Gnua, che ha assistito impassibile alla scena, e si allontana minaccioso. Lunga pausa)

 


Scena 5
Ruzante e Menato

Ruzante (leva appena il capo e, accortosi che il bravo e la Gnua se ne sono andati, chiede con un filo di voce) Compare, sono andati via? C'è più nessuno? Guardate bene… eh?
Menato (avvicinandosi cautamente) No, compare. Sono andati via, lui e lei. Non ci sono più.
Ruzante (rialzando di più la testa) Ma gli altri sono andati via tutti?
Menato (stupito) Quali altri? Non ho visto che quello solo, io.
Ruzante (rinfrancato, si mette a sedere) Non ci vedete troppo bene, compare. Erano più di cento, quelli che mi hanno picchiato!
Menato (lo guarda sbalordito) No, canchero, compare!
Ruzante Sì, canchero, compare! Volete saperlo meglio di me? Sarebbe proprio bella! (aiutato da Menato, si rimette in piedi, con pena) Ti pare che ci sia [stata] più discrezione? Uno contro cento, eh? Almeno mi aveste aiutato, compare, o vi foste messo in mezzo…
Menato Ma perché canchero volete che mi vada a ficcare in mezzo, se mi dite che siete tanto bravaccio che, quando foste alle mani, mi tiri via da una parte, che potreste dare anche a me, perché non conoscete né amicizia né parentela?
Ruzante Ve lo dissi di certo. Ma quando ne vedeste tanto contro me solo, dovevate pure aiutarmi. Credete che sia Rolando, io?
Menato In fede mia, compare, non era che uno solo, in fede mia! E io credevo che voi vi lasciaste picchiare a bello spreco per lasciarlo stancare, e poi, quando quello fosse ben stanco, vi levaste su voi e picchiaste lui – intendete, compare? O che faceste in modo che lui si stancasse, perché non potesse menar via la Gnua, o per qualche altro vostro pensiero… Che so io? Me lo dovevate dire!
Ruzante No, compare, non pensavo a questo, io. E non ve lo volli dire, perché facevo il morto, io, come facevo al campo, perché si levassero via – intendete? È un saperne di più, quando ce n'è tanti addosso.
Menato In fede mia, compare, in fede mia, non è stato che uno solo! Ma perché non vi riparavate con questo lanciotto? (raccoglie la lancia che Ruzante ha lasciato cadere)
Ruzante Dite pure la vostra. So ben io il fatto mio. Ci sono avvezzo, vi so dire. Uno contro cento… Discrezione nel culo!
Menato (cantilenando le parole) Compare, era uno solo, in fede mia, in fede di compare!
Ruzante (in ripresa, dopo una pausa) Ma, se era uno solo, questo è stato un tradimento, qualche formula di incantesimo, ché lei ne sa fare. Sì, lo ha fatto lei, che è una strega! Che credete? Mi ha bene affatturato anche me, che mi pare la più bella che mai fosse al mondo; eppure so che non lo è, che ce ne sono tante di più belle. Ebbene, anche adesso lei ha fatto sì che uno mi sono parsi cento. Che Dio m'aiuti, mi pareva un bosco d'armi, tante ne vedevo muoversi e menarmi. Vedevo qualche botta venirmi così di punta, che credevo di essere spacciato. Credete che non ne abbia fatto, dei voti? Ah, che il canchero la mangi! La voglio far bruciare, che so bene che sta a me [di farlo]. Potta, compare! Ma perché non me lo dicevate che era uno solo? Me lo dovevate dire, in nome del diavolo!
Menato Ma, al sangue di me! Credevo che lo vedeste. Vi era pure vicino…
Ruzante Ma sì, ne vedevo più di cento, vi dico. Ebbene: che vi pare, compare, di me? Chi avrebbe durato a tante bastonate? Sono un uomo forte e valente?
Menato Potta, compare! Bastonate, dite? Sarebbe morto un asino! Io non vedevo se non cielo e bastonate. Non vi dolgono? Come siete vivo?
Ruzante Poh, compare! Ci sono avvezzo, ci ho fatto il callo. Non sento niente, io. Ho più dolore che non mi avete detto che era uno solo; perché, se lo avessi saputo, gli facevo il più bel tiro che mai fosse fatto. Li avrei legati, lui e lei, e poi gli avremmo fatto… intendete? (ride) Oh, canchero, sarebbe stata da ridere! Me lo dovevate dire, potta di me! Avremmo riso per un pezzo, in fede mia! Non voglio mica dire che avrei dato delle bastonate a lui, perché non l'avrei fatto per amore di lei, che l'avrebbe avuta a male – intendete compare? Ma sarebbe stata da ridere… Oh, oh, oh, oh! (ridendo forzato, va a sedere su uno scalino)
Menato (lo osserva scotendo il capo) Potta! Ora ve la ridete, compare, che pare sia stata una beffa, e che sia stata come le commedie che si fanno, o che siate stato a nozze…
Ruzante (ride in tono sempre più alto e forzato) Poh, compare! Che mi fa a me? O canchero, sarebbe stata da ridere, se li legavo! [E così poi avreste detto che non vi faccia più delle commedie].

 


Documentazione fotografica della prova generale
di Marco Ferracuti

 

    

    

    

    

 

BILORA

Personaggi
Ruolo in ordine di apparizione

Bilora villano
Pitaro villano
Dina moglie di Bilora
Andronico vecchio veneziano
Zane (o Tonino) suo fante, bergamasco

La scena si rappresenta in Venezia

 


Scena 1
Bilora solo

Bilora (entra borbottando tra sé, e impreca) Orbene, dove non va un innamorato, e dove non si ficca? Non ci si ficcherebbe neanche una bombarda. Potta anche all'amore! Chi avrebbe mai detto che l'amore mi avrebbe tirato così fortemente da menarmi tra gente che non vidi mai, e fuori di casa mia? Che non so dove sono, io. Dicono che l'amore non può fare o che non sa fare; ma io vedo che sa fare e che fa fare ciò che vuole. Io, dico – ché per una volta voglio parlare di me – io, se non fosse stato per l'amore di venire a vedere se trovo la mia cristiana, non sarei mai venuto, tutto ieri, tutta stanotte e tutta stamane, per boschi, per siepi e per sterpi,  che sono tutto un livido, e non ne posso più con la vita. Lasciamo pur dire, lasciamo pur andare… che tira più l'amore a uno che sia innamorato, che non fanno tre paia di buoi. Canchero! Ne ho avuto delle sorbe. È una brutta briga, l'amore. C'è anche chi dice che l'amore si ficca soltanto nei giovani, e che fa andare, e che fa andare in fregola soltanto i giovani. Vedo invece che ci vanno anche dei vecchi. E così credo che se quello non avesse avuto lo spino nel culo, non mi avrebbe portato via la mia femmina perché glielo cavasse. Gli avesse cavato il cuore, vecchio sfinito! Che il canchero lo mangi, lui e chi lo menò al mio paese, usuraio che è! Che non possa mai aver piacere dei suoi denari, e mai neanche godimento, come lui non ne lascia avere a me di mia moglie. (pausa. Con altro tono) Eppure, al sangue del canchero, non c'è quasi male che non mi stia bene. Volevo pur andare a tirar le barche, di giorno e di notte; e un altro mi ha tirato la moglie fuori di casa a me, che Dio sa se la potrò mai più vedere. Avrei fatto meglio ad aver tirato in casa, dove ce n'era più bisogno. O canchero! Mi vedo proprio in un bell'impiccio. Muoio di fame, e non ho pane, e non ho neanche denari per comprarne. Almeno sapessi dove lei sta, e dove lui l'ha menata… Che la pregherei pur tanto, che mi darebbe un pezzo di pane.

 


Scena 2
Pitaro e Bilora

Pitaro O cacasangue! Ma sei qui?
Bilora Non cercavo nessun altro che voi, Barba Pitaro, vedete.
Pitaro (interrogativo) Ben, dimmi, su…
Bilora Non sentiste dire, l'altro giorno, di quella storia… sapete?
Pitaro Che Dio m'aiuti, no, se tu non me la dici.
Bilora Poh, non sapete niente! Di quella faccenda di… di… – aiutatemelo a dire – di messer Andròtene, che ha menato via la mia femmina… Di quel vecchio, di quel gentiluomo forestiero…
Pitaro Sì, sì, davvero. Ehi, canchero, parla piano, perché sta qui vicino, vedi, che non ti senta. (gli fa cenno di abbassare la voce) Chi ti ha menato fin qui?
Bilora Ci sono venuto io, da me. Nessuno mi ci ha menato. (incalza) E così sta qui vicino? Dove? A quest'uscio? (indica il portone della casa di Andronico)
Pitaro Ma sì, lì. Bene; che vuoi fare? [Chiedergli] che te la dia indietro? Oppure che vuoi fare?
Bilora (accomodante, con aria furba) Voglio dirvi il vero, io. Perché non ho piacere di questionare, come sapete, io mi accorderei volentieri, piuttosto che far lite [in tribunale]; e così accetterei che quel che è stato è stato, purché lui mi desse qualche soldo e la femmina, intendete? Perché qui non mi servirebbe forse sbravazzare. Certo che se fossimo di fuori, andrebbe in un altro modo; ma qui non conosco nessuno. Quello potrebbe forse farmi affogare in uno di questi fossi (indica il rio), e io ci farei anche questo guadagno, poi.
Pitaro (assentendo) Dici proprio bene, vedi. È un uomo fastidioso. Canchero, vacci pure con le buone. "Messer bello" di qua, "messer caro" di là…
Bilora Che? Ha nome "messer bello"? Mi era stato detto che aveva nome Andròchene… uno strano nome.
Pitaro No, tu non intendi. Ha ben nome come dici tu, ma non dico questo, io. Dico che tu gli faccia dei complimenti, che tu ci vada con le buone [maniere]. Dagli della "Vostra Eccellenza", della "Paternità Illustrissima"… "Riverisco, caro messere, datemela"… (imita una voce suadente, accompagnandosi con inchini) Intendi? Senza sbravazzare.
Bilora Ah, bene, intendo. Canchero! E così è davvero fastidioso, eh? Ma è un fastidioso che le dà, oppure uno che grida?
Pitaro Le dà, canchero! Mena giù alla liscia,vedi!
Bilora (torvo) Ah, ma allora, se fa così, è un brutto tipo. Dunque lui le darebbe così in terra, come non farebbe neanche sul muro, nevvero? Voglio dire, a un uomo? Potta di chi l'ha cagato! Ho idea che sarei capace di buttarlo in terra con uno sputo. E così le dà, eh? Il canchero lo mangi, dunque! Su, ora insegnatemi un po' come devo fare a prenderlo con le buone, in modo da non darsele. Sapete se è in casa? O non è ancora tornato di Piazza?
Pitaro No che non è tornato. Ascolta, che ti voglio insegnare un bel modo, al sangue della saetta! (lo tira in disparte)
Bilora Su, dite pure, e lasciate fare a me.
Pitaro (abbassando la voce) Ascolta, dunque: va', batti, che in casa c'è soltanto la Dina; e non ti far vedere sospettoso con lei, chiamala pur giù, e fa finta che il fatto non sia tuo.
Bilora No, no, lasciate pur fare a me.
Pitaro E dille: "Sorella, di' su, vuoi venire a casa? Tu mi hai pur lasciato…" Ma sì, così, come saprai fare.
Bilora Sì, sì, buone parole, insomma. Ma dove volete che le parli: qui sull'uscio, o che vada dentro?
Pitaro No, sull'uscio, qui fuori, canchero! Che lui non ti sorprenda in casa e ti faccia dare un buon cappotto [di busse].
Bilora Dite, ma che credete voi? Credete che lei verrà a casa?
Pitaro (interdetto) Non so, forse anche sì. Per quanto ha davvero buon tempo con lui; non ha più briga né fatica alcuna, ben da bere, ben da mangiare, e ben servita…
Bilora (interrompendolo) Oh, quanto al servita, Dio m'aiuti, non credo la serva bene come faccio io, perché un servizio non può [più] farlo, lui…
Pitaro (mostra di non accorgersi dell'equivoco) No, hanno un servitore, canchero, che li serve tutti e due.
Bilora Volevo ben dire. Ma ora non è meglio che vada? Le caverò qualcosa dalle mani, prima che lui torni a casa. E così, non c'è nessuno in casa, fuorché la Dina?
Pitaro No, ti dico. Potta, credi che te lo direi? Va' pure, che anch'io devo andare là in fondo (fa segno) per un servizio. Quando torno, passerò di qui per vedere come avrai fatto. Ora non stare qui, va' via. (lo spinge verso il portone di Andronico)
Bilora (grida dietro a Pitaro) Su, andate, che vi aspetto in ogni modo, vedete! (solo) O potta del canchero! Dio sa in che modo andrà… Ma vada come vuole! Ora comunque voglio battere, [anche] se rischiassi di essere fatto a pezzi e a bocconi peggio di una rapa. Certo che se batto, forse mi saranno battuti i panni addosso; e si va a rischio, anche se non devo avere, di riscuotere… (risoluto) Vada pure come canchero si voglia, io mi sento muovere l'amore, e rivoltarmisi il cuore, le budella e i polmoni nella pancia, che c'è un rumore che sembra un fabbro che rincalzi un vomere. Ma sì, mi dispero, io, se non batto! (si avventa all'uscio, picchiandovi alcuni colpi) Ehi, di casa! C'è nessuno, qui? (grida più forte) Dico, c'è nessuno?... (seguita a bussare)

 


Scena 3
Dina e Bilora

Dina (si affaccia a una finestra sovrastante il portone) Chi è quello che batte? Siete un poveretto? Andate con Dio. (fa per ritirarsi)
Bilora Sebbene son poveretto, non andrò già via per questo. Sono un amico. (con tono più deciso) Apri che son io.
Dina (nell'oscurità incipiente, ancora non lo riconosce) Chi siete voi? Chi è quell'amico? Non c'è messere  in casa. Andate pure con Dio. (chiude l'imposta)
Bilora (rimane un attimo sospeso, poi riprende a bussare e a gridare) Ehi, Dina! Vieni un po' ad aprirmi, che son io, che il canchero ti mangi! Non mi riconosci, nevvero, matta?
Dina (riapre bruscamente l'imposta, alzando anche lei la voce; intono aspro) Dico, levatevi via di qui, che io non vi conosco, e messere non è in casa. E andate per i fatti vostri, se non avete voglia di [attaccar] briga.
Bilora (più conciliante) Poh, sei proprio infuriata! Ascolta, vieni qui, che ti voglio un po' parlare in confidenza; degnati un po'. Son pur io, Dina, sono Bilora, vedi? Sono il tuo cristiano.
Dina (spaventata) O povera me, sentite questa! Ma che siete venuto a fare qui?
Bilora Ben, che dici? Vieni un po' giù, che ti veda. (le fa cenno di scendere alla porta)
Dina Vengo. (si ritrae dalla finestra)
Bilora (solo, da sé) Vedrai che le caverò qualche susina dalle mani, io, qualche solderello. Forse sarà la mia fortuna, e io mi volevo disperare.
Dina (dal di dentro) Ma mi batterete, se apro?
Bilora Perché vuoi che ti batta? So che non ci sei andata volentieri, tu. (quasi affettuoso) Vieni fuori. [Ti giuro] sulla mia fede che ti prenderò ancora per buona e per cara come ti avevo prima.
Dina (socchiudendo adagio il portone) Buona sera. (scruta il marito cercando di coglierne le intenzioni) Ma in che modo siete venuto fin qui? Come state? State bene?
Bilora Bene, io; e tu? Hai una così buona cera, tu! (la osserva compiaciuto)
Dina (con smorfie volute) Che Dio m'aiuti, non mi sento neanche troppo bene. Se volete che vi dica il vero, sono mezza stufa di questo vecchio, io.
Bilora Lo credo bene, io, non si può muovere. E poi giovani con vecchi non si intendono. (ammiccando) Ci intendiamo meglio io e te.
Dina (d'un fiato, sincera) Poh, è mezzo ammalato, tutta la notte tossisce come una pecora marcia. Mai non dorme, ogni momento mi sta stretto addosso, mi sbaciucchia, e crede proprio che abbia un gran desiderio dei suoi baci. Che Dio m'aiuti, non vorrei più vederlo, tanto mi è venuto in disgrazia.
Bilora Puah! Gli puzza il fiato peggio di un letamaio, sa da morto lontano mille miglia, e ha tanta vergogna al culo… benché gli deve essere andata [a finire tutta] in un certo posto, non è vero?
Dina La febbre vi mangi! Dite solo qualche porcheria.
Bilora (con altro tono) Ben, dico io… Vero, dico io, non vuoi tornare a casa tua? Oppure vuoi lasciarmi e restare con questo vecchio qui?
Dina (esitante) Io ci vorrei anche tornare, ma è lui che non vuole. Credo che lui non voglia che io ci torni. Se vedeste le carezze che mi fa, sull'anima mia, non potreste darvi pace. Per la febbre! Mi vuole veramente bene. Ho veramente buon tempo con lui, io!
Bilora (contrariato) Ma che vuoi venirmi a dire che lui non vuole? Canchero! Mi farai andare in collera. Anche se lui non vuole, non vuoi tu? Mi farai tirar giù i santi… Ehi, dico, rispondi.
Dina (stringendosi nelle spalle) Non so io, in fede mia: vorrei e non vorrei.
Bilora (si contiene a stento) Oh, che Dio me la mandi buona, stasera! (a Dina) Starà molto a tornare a casa? Verrà presto?
Dina Fra poco, non può essere che non venga. (a parte) Anzi, in fede mia, non vorrei che mi vedesse qui a discorrere con lui. (più forte) Andatevene, caro fratello. Sentite, tornate più tardi quando lui ci sia, e forse vi accorderete.
Bilora Sì, ci accorderemo nel culo! E tu bada bene che non ci accordiamo. (impreca) Sangue, che non ti tiro giù… Domine Críbele! Se mi ci metto, farò peggio che non fa un soldato. (investe furiosamente Dina) Sento bene, sai, che anche tu tiri il culo indietro! Ma non devi mica far così con qualcun altro, ti venisse il canchero, schifosa che sei! (la minaccia con il pugno alzato)
Dina (schermendosi) Guadagnerò di queste, io, vedete, [a stare] con voi! Ti pare o no che sia rabbioso? Sentite, [vi giuro] sulla mia fede che non scherzo; ritornate tra un poco, quando lui sarà venuto, e battete, e dite che volete parlare a messere; e ditegli subito che volete che io torni a casa, e state a vedere ciò che vi risponde. Se lui vorrà, sia fatta la volontà di Dio; e anche se non vorrà, farò come vorrete voi.
Bilora Davvero? Ma tu verrai, poi, anche se lui non vorrà?
Dina Sì, vi dico, sulla fede che ho a questo mondo. Su, andate via, ora, che non vi trovi qui.
Bilora Senti, dico io, non avresti un pezzo di pane da darmi? Che proprio muoio di fame. Non ho mangiato da iersera in qua, da quando sono venuto via da casa.
Dina Sì, ma se voleste, vi darei più volentieri dei denari, e potreste andare qui vicino, in capo a questa via (fa segno), dove tengono osteria; e così mangerete e berrete a vostro agio. Perché non vorrei che lui capitasse di ritorno e mi vedesse a dar niente fuori di casa. (gli mette in mano alcune monete)
Bilora Per Dio, da' pur qua! Dove sta quest'oste, sta lontano?
Dina No, no, qui in cima: quando siete là in fondo (fa ancora segno), voltatevi a questa mano. (mentre Bilora guarda nella direzione indicata, Dina rientra e chiude pianamente il portone)
Bilora (solo) Orbene, gran fatto che non lo trovi. Senti, dico io… (si volge, credendo di trovare ancora la moglie) Basta, ha chiuso, lei. Ho tanto desiderio di mangiare che non mi sono neanche ricordato di chiederle se devo indugiare tanto o poco a tornare. Basta, voglio andare a mangiare, che in ogni modo, prima che mi sia cavato l'appetito, credo che lui sarà ritornato. Voglio vedere quanti soldi mi ha dato. (osserva le monete stendendo il palmo della mano) Orbene, che canchero è questo? Cominciando da questo (rigira tra le dita una moneta), non so quel che sia. Bene, canchero! Sì, davvero, è un pezzo da due, e non lo riconoscevo; eppure è la prima moneta che spesi quando cominciai a innamorarmi. (sospira, e prende un'altra moneta) E questa è una muraglia. E quest'altro? Potta, è grande e grosso, è maggiore di questi altri. Cacasangue! Vale assai, questo, e non mi viene in bocca che cosa sia. Ma sì, è un cornacchine, e credo che se ne trovino di più che degli altri denari. Ora voglio andare a mangiare, io. (osserva con attenzione il portone di Andronico, e lo tocca) Questa intanto è la porta. Ci saprò venire, che non la perda? (si avvia; poi si arresta di nuovo) Eppure, lasciami [ancora] un po' vedere questi soldi. (li rigira tra le dita e li conta) Questa è una moneta da due; e una muraglia, che vuol dire quattro; e un cornacchine, che vuol dire cinque; e uno che voglio tenere per me, che fanno sei; e uno me ne rimane da spendere, che vuol dire sette: sarebbe come dire che mi mancano diciannove marchetti per arrivare a un trono. (si incammina verso l'osteria, sempre conteggiando le monete)

 


Scena 4
Messer Andronico solo

Andronico (sopraggiunge passo passo e, prima di entrare, indugia a monologare sull'uscio di casa) Ora infine è pure la verità, al corpo di me, che chi non fa la sua puerizia in gioventù, bisogna che la faccia in vecchiaia. Io mi ricordo, al mio tempo, quando quelle buone memorie, specialmente messer Nicoletto degli Allegri e messer Pantasileo di Ca' Bucintoro, le Loro Magnificenze, mi dicevano: "Che vuol dire, Andronico, che te ne stai così pensoso, di mala voglia? Perché diavolo non ti trovi una ragazza, e ti dài piacere con lei? Quando vorrai avere piacere e buon tempo, quando non potrai più? Mi sembri un uomo, non so come, mezzo incantato. Ma tieni a mente, ve', e ricordati, che nella tua vecchiaia farai qualche sciocchezza per amore, poi!" Come infatti è stato. (sorride) E in fondo, sarei quasi più contento di essere innamorato adesso che quando ero giovane, se non fosse per una certa cosa, che spesso mi guasta l'intento: che… non respondent ultima primis. O diavolo, è una brutta cosa diventar vecchi! (sospira, ma si riprende) Eppure mi basterebbe ancora l'animo… Basta, adesso, non più; perché in effetti non sono neanche un vecchio in decrepitezza. L'amore fa fare grandi cose. (al pubblico) Sentite in che modo ho menato via questa ragazza e l'ho tolta a suo marito. E sono andato a rischio di lasciarci la vita per averla, tanto ne sono innamorato e tanto bene le voglio. Ma in effetti è anche una figliola che, a dirla in breve, pare un angelo cherubino, e ha un bocchino che fa voglia di baciare. Insomma, dubito solo di una cosa, e ne ho affanno: che qualcuno dei suoi non me la venga a domandare. Ché sarà il mal venuto, il mal trovato, perché ho deciso di godermela io. Se lei, dal canto suo, non mancherà e farà il suo dovere, io le farò una tal parte del mio che forse se ne potrà accontentare; e non dico mica al minuto, dico in solido, e fin da adesso ne ha una buona caparra, perché maneggia il mio come vuole lei, e può spendere e spandere dentro e fuori di casa senza che io le dica niente. E non ha neanche da render conto a nessuno; ed è una bella cosa, esser donna e madonna. Fa alto e basso e comanda, e non ha altra fatica che quella d'aprir bocca; e beata lei, se saprà fare con me! Oh, che pagherei perché mi avesse un poco ascoltato, perché vedesse l'animo mio! Orsù, voglio andar di sopra a vederla un poco, perché mi ha messo tanto in festa e in delizia, che, se non vado a trescare con lei, mi sentirò impacciato e farò male i fatti miei. Dico che sono tanto in gamba, che mi basterebbe l'animo di ballare quattro tempi del "gioioso", e farlo anche strisciato, e di ballare anche la "rosina", e farla tutta in figure, che sarebbe mica poco! Oh sì, sarà buona da mille cose, questa figliola. Una, mi curerà quando mi viene il mio catarro, e anche quando sarò indisposto; l'altra, avrò con chi sfogarmi e dire i fatti miei. (fa un breve fischio e dice in tono dolce, rivolto verso l'interno) Su, tira! (tra sé) Dio sa se il servo non è ancora tornato con la barca.

 


Scena 5
Zane servitore e messer Andronico

Zane (dall'interno) Chi è quello che batte?
Andronico (ancora assorto, crede che sia Dina) Tira, figlia bella… (si accorge che è Zane) Tira, tira, bestia! Diavolo, credevo che fosse lei. E tu, non senti?
Zane Che vi piace?
Andronico (entrando) Hai acceso il fuoco nel mezzanino?

(il portone, richiudendosi, smorza le voci)

 


Scena 6
Bilora e Pitaro

Bilora (rientra il scena dalla parte dell'osteria, reggendo un boccale di vino; è malfermo sulle gambe) Potta! Ma guarda come ci siamo ritrovati tutti e due qui.
Pitaro (che giunge da un'altra parte) Bene, hai ben mangiato? Ha un buon vino, non è vero?
Bilora (con la lingua impacciata) Sì, lui [sì], barba Pitaro. Canchero, è buono! Vi so dire che sono così pieno, che mi si potrebbe battere una falce sullo stomaco. (si picchia sullo stomaco)
Pitaro Bene, che vuoi che faccia? Vuoi che parliamo a questo vecchio, e vediamo presto e bene che cosa risponde, e ci leviamo subito dall'impiccio, o dentro o fuori? Del resto tu dici che la ragazza verrà, sebbene lui non vuole.
Bilora Mi ha ben detto così, a meno che ora non abbia cambiato idea. È anche lei così, un po' grezza – intendete? – di testa.
Pitaro Intendo bene, io; ma intanto, più presto ce la sbrighiamo, tanto meglio è per noi. In che modo vuoi che gli parli? Io per te, o vuoi che gli parliamo tutti due insieme?
Bilora No, parlategli pure voi, che saprete meglio dire. E, sentite, se vedete che lui si tira indietro, ditegli, al sangue di Críbele! Che lei ha un marito che è un brutto canchero: "che se non gliela date, vi ammazzerà". E ditegli che sono stato soldato, che forse lui avrà paura.
Pitaro Va bene, lascia fare a me. (si avvia per battere all'uscio)
Bilora (lo trattiene) E, sentite, ditegli pure che sono un bravaccio, e bestemmiate, e ditegli che sono stato soldato: non ve lo dimenticate, ve'.
Pitaro Basta, tirati da parte, che non ti veda. Adesso batterò. Lascia pure fare a me, gli farò un discorso che mi intenderà.
Bilora (torvo) Vada come il canchero vuole! Se me la dà, sia fatta la volontà di Dio; se invece non me la dà, al sangue della Vergine Malgatera, gli caverò io lo spino dal culo! Ah sì, che gli faccio scappar la lisca giù per le gambe fin dentro le calze!
Pitaro Ma taci, smettila di brontolare e maledire! (lo spinge in disparte) Levati via, lasciami battere. Come dici che ha nome?
Bilora Mah, non so in che canchero di modo lo chiamino, io. Credo che abbia nome messer Ardòchene, sì, sì.
Pitaro Sì, sì, davvero, sì. (batte all'uscio di Andronico) Ehi, di casa! (Bilora si trae in disparte)

 


Scena 7
Dina alla finestra, Pitaro e Bilora

Dina (affacciandosi) Chi batte?
Pitaro Amici, figliola. Di' che vorrei dire una parola a messere.
Dina Chi siete, voi?
Pitaro Di' pure che sono io, che gli voglio parlare, e intenderà ben lui.
Dina Verrà giù adesso. (si ritrae)
Bilora (si avvicina di nuovo a Pitaro) Sentite, ditegli che ne ho ammazzati non so quanti, che sono bandito, sapete?
Pitaro Ma insomma, taci, levati via! Mi hai stordito. (lo spinge d aparte)

 


Scena 8
Andronico, Pitaro, Bilora in disparte

Andronico (apparendo sulla soglia) Chi è quello? Che dici?
Pitaro Buona sera, messere, all'Eccellenza Vostra. (si scopre)
Andronico Ben venuto, Picaro. Che dici?
Pitaro Vorrei un po' dirvi dieci parole in confidenza, messere, se voi voleste, tra me e voi. Tiratevi un po' in qua. (gli fa cenno di accostarsi)
Andronico Che vuoi? Di' su, presto.
Pitaro (impacciato) Ora ve lo dirò, messere: tanto, qua non serve nascondersi in prato falciato. Sapete bene che l'altro giorno menaste via quella ragazza, la moglie di quel povero ragazzo di Bilora, che è mezzo disperato. Ebbene, come vi devo dire, voglio pregare l'Eccellenza Vostra, da parte di lui, che gliela rendiate. Perché pensatevi, caro messere, pensatevi, mettendovi nei panni degli altri, che vedersi togliere la moglie pare veramente un brutto tiro. In ogni modo voi dovreste esservene già cavata la voglia e l'appetito, e ve ne siete potuto stufare. E poi, a darvi un buon consiglio, da amico, messere, quella non è pignatta per il vostro mestolo. Voi siete vecchio, e lei giovane… Perdonatemi perciò se vi parlo apertamente, messere.
Andronico Vuoi che ti dica la verità? Non voglio farne niente, perché no la potrei mai lasciare. Mi hai ben inteso? Ho deciso di fare la mia vita con lei. Come diavolo mi consiglieresti, tu, che lasciassi venire questa figliola al paese, a stentare [la vita] con quel poltronaccio di Bilora, che le fa mangiare più bastonate che pane? E vorresti che io mi privassi di lei? No, no, proprio no. Le voglio tutto il mio bene, e non lo farei mai, me ne farei un carico di coscienza, a lasciar andare in bocca ai porci le noci moscate. Non credi anche tu che non l'avrei menata via come ho fatto, per poi lasciarla subito così? Ho portato corazzina e la falda tutta quest'estate, armato come un San Giorgio, e sono stato in armi notte e giorno, e ho affrontato tanti stenti col pericolo di essere un giorno malmenato, per averla. Sicché, figlio bello, di' pure a Bilora che provveda per altra via ai fatti suoi.
Pitaro Ma, messere, li farà male, i fatti suoi, in questo modo. Vedo che non volete che li faccia troppo bene, io.
Andronico No sicuro; anche se in questa faccenda dovessi spendere metà della mia sostanza, e se dovessi avere il bando da questa terra.
Pitaro (con maggiore forza) Potta del mal del canchero! Ma che volete che faccia? Volete che si disperi?
Andronico (urtato dalla confidenza che si è preso Pitaro) Non voglio che si disperi per niente, io. Se è dis… piedato, che si faccia infilzare in uno spiedo da arrosto! Ma senti che diavolo di cosa! Si dispererà. Che vuoi che ti faccia, io? (innervosendosi sempre di più) Mi fai fastidio, ormai. Fra poco mi farai andare in collera. Va' al diavolo! Orsù, basta, non più, che mi vengono le fumane.
Pitaro (accomodante) No, no, messere, non vi adirate! Sentite, facciamo così: chiamiamo qui la ragazza, e vediamo ciò che dice. Se vuole venire, lasciatela venire; se non vuole, tenetevela e fatevene il sugo che volete. Che ne dite?
Andronico (rabbonito e sicuro di sé) Ora sì che parli bene. Ma guarda di non pentirti, ve', perché sono certo che rimarrai invischiato. Questo sarà pure un fatto. Mi ha detto adesso che non lascerebbe me per quanti uomini sono al mondo: guarda un po' se ti pare che abbia così presto mutato animo. Voglio farti questo servizio, perché non mi metterei l'animo in pace se non vedessi come va a finire, e se è vero il bene che mostra di volermi. (fischia e chiama) Ehi, senti, vero? Non mi senti? Di', figlia bella, senti?

 


Scena 9
Dina, Andronico e Pitaro

Dina (apparendo alla finestra) Chiamate me, messere?
Andronico Sì, figlia, vieni un po' giù. (Dina si ritira, mentre Andronico dice tra sé) Direi proprio che le donne han poco cervello – benché la maggior parte ne abbia poco – se costei avesse tanto facilmente mutato proposito.
(Dina compare sulla soglia)
Pitaro Vedetela qui, messere, è venuta.
Andronico (la guarda compiaciuto) Ben, figlia bella, che dici?
Dina Di che, messere? Non so, io. Non dico niente, io.
Andronico Ascolta: questo brav'uomo è venuto a domandarti indietro da parte di tuo marito. Abbiamo fatto un patto, che, se tu vuoi andare con lui, io ti lasci andare; se invece vuoi restare, che tu resti. Sai bene quello che hai con me, e se ti lascio mancare [niente]. Fa' ora come vuoi e come ti piace. Io, per me, non ti dico altro.
Dina Che io vada con mio marito? Ma dove volete che vada? Avrò ogni giorno delle bastonate. In fede mia, no che non ci voglio andare! Che, se Dio m'aiuta, non vorrei averlo mai conosciuto, perché è il peggior poltrone tra quanti mangiano pane. Mio Dio, in fede mia, no, messere, no che non ci voglio andare! Che, quando lo vedo, mi sembra di vedere il lupo…
Andronico Basta, basta, basta! (a Pitaro) Voi mi avete inteso: siete soddisfatto? Quando ve l'ho detto io che non voleva venire, voi non volevate credermi.
Pitaro (indispettito) Ma sentite, messere, mi fa soltanto rabbia, questa scapestrata: perché non è mezz'ora, poco prima che voi tornaste a casa, che ha detto a Bilora che ci voleva venire, anche se voi non volevate.
Dina (furente) Che? Io gli ho detto che ci volevo venire? Io [non] gli ho detto un… – che me l'avete quasi fatto dire, come disse la buona femmina – io [non] gli ho detto un totano! Lasciatelo pur dire, che è stato lui a pensarselo.
Andronico Va' pure in camera, e non litighiamo più. (Dina rientra) Basta, andate con Dio. Che ve ne pare, dunque? Io l'avrei giurato che non sarebbe venuta. Volete altro?
Pitaro (duro) Messere, io no. Che volete che voglia? Voglio dirvi che Bilora è un brutto tipo, e ha poca voglia di far bene, e che fareste meglio a dargliela.
Andronico (alterandosi di nuovo) Ben, che vuol dire questo discorso? Credo che ormai ne abbiamo abbastanza. Mi vuoi minacciare? Non mi far andare in collera, che dico sul serio, che ce le daremo giù per la testa davvero. Mi sembri una bestia a dirtela in poche parole! (Pitaro non si muove) E va' via di qua, e levati presto di torno, che questa è una massima (alza il bastone) che non ti voglio dare! Mi hai inteso, dunque? Ché voglio uscir di casa tra poco: non ti lasciar trovare, che non ti capiti… Basta, non più! (rientra sbattendo l'uscio)
Pitaro (immobile) E andatevene col vento, che non vi veda mai più!

 


Scena 10
Bilora solo

Bilora Al sangue del mal della zoppa! Mi vanno pur tutte alla rovescia. Ah, ma lo rovescio lui con le scarpe in su! Ah, ma lo faccio smerdare dal ridere, gli faccio lasciar qui gli zoccoli e la berretta! In ogni modo, che posso fare? Sono rovinato per la vita. È meglio che lo faccia fuori, e che mi cavi d'impiccio. Per quanto, arrabbiato come sono, non vorrei che non mi andasse bene. Basta, so ben io ciò che ho pensato. Quando lo vedrò venir fuori, gli salterò subito addosso, e gli menerò alle gambe, e lui cadrà subito in terra, alla prima; e allora dài, giù addosso, per lungo e per traverso! (gestisce scomposto) Gran fatto che non gli faccia cacciar fuori gli occhi e la vita. Poh sì, ma sì! Avrà paura, lui, se faccio a questo modo. E poi parlerò da soldato spagnuolo, che sembreranno più di otto. È meglio che provi un po' come devo fare. Bene, tirerò fuori la coltella! (snuda un coltellaccio da contadino e si porta sotto un raggio di luce) Lasciami vedere se luccica. Canchero, non è troppo lucente, non avrà troppa paura. E poi metto, scusate la parola, che questo cotale (posa il boccale del vino bene in vista innanzi a sé) sia lui, e che io sia io, Bilora, che sa menar bene, quando vuole! E sì comincerò a bestemmiare, e a tirar giù quanti Cristeleison ci sono a Padova, e la Madre Beata e il Dominesteco… Potta di chi ti generò, e di quel vecchio giudeo impotente maledetto! Che ti possa arrapare, come mai sarai buono… Adesso ti voglio cavare il prurito dal culo! E mena, e dài… (colpisce il boccale, che si rovescia. Bilora osserva il coltello, macchiato di vino rosso) fin tanto che l'avrò ammazzato. (pausa) E poi gli caverò il vestito, e glielo toglierò, e lo spoglierò da capo a piedi, io, e poi via a gambe, via di corsa! E lo lascerò qua, disteso in terra come una gran cacata di vacca. E poi venderò il tabarro, io, e mi comprerò un cavallo, io, e andrò a farmi soldato, io, e me ne andrò al campo. In ogni modo, ho poca voglia di restare a casa. Basta, mi apposterò qua, io. (si appiatta all'angolo della casa di Andronico) Vorrei che venisse fuori, io, vorrei che non ci stesse più [tanto]. Taci, viene? È venuto fuori? (crede che Andronico sia uscito e si slancia) Sì! Ti mangi il canchero, vecchio strascinato! … Potta di Cribele! Ma dov'è? (si guarda intorno) Non è mica uscito? Ci ho fatto un bel guadagno, sì. (torna all'angolo) Vuoi vedere che non esce più? Taci? (si sente aprire l'uscio) In fede mia, mi par proprio di sentirlo venire. Viene, sì. Non mi ingannerò più. Bisogna che cerchi di non saltargli addosso fino a che non ha chiuso l'uscio. (si appiatta ancor più)

 


Scena 11
Messer Andronico, Zane, poi Bilora

Andronico (ha udito gli schiamazzi di Bilora, ed esce brontolando) Chi diavolo è questa bestia che va in giro a quest'ora a far chiasso per le strade? Qualche ubriaco? Col malanno che Dio gli dia, e la mala Pasqua, mi hanno fatto muovere quanto sangue ho addosso. Pagherei non so che cosa per essere Signore di Notte e trovarli, che gli darei ben altro che susine. (chiama) Senti! Non senti, Zane?
Zane (si affaccia alla finestra di Dina) Sono qui.
Andronico Non venire. Resta a casa, fa' compagnia a Dina, e vienmi a prendere poi verso le quattro… E porta il fanale, ricordati.
Zane Verrò più presto che potrò, non datevi pensiero. (richiude)
Andronico (indugia ancora presso la porta) È meglio che vada di qua, perché passerò il traghetto laggiù, e sarò giunto in un momento. (si avvia dicendo) Zane, chiudi la porta.
Bilora (balzandogli addosso d'improvviso) Ah, ti mangi il morbo, vecchio strascinato! To'!… To'!… (gli vibra alcune coltellate)
Andronico (colto di sorpresa, non accenna a difendersi) Oh, figlio bello! Oh, figlio bello!… Ohimè, ohimè! Fuoco, fuoco, fuoco! (debolmente) Ohimè, sono morto! Oh, traditore, fuoco, fuoco! Ohimè, che muoio, e sono morto… (stramazza esamine)
Bilora (seguitando a vibrare colpi) Fuoco, fuoco! Te lo caccerò ben io dal culo, il fuoco! Dammi indietro la mia femmina. La dovevi lasciar stare. (con stupore, si china a scrutare il viso del caduto) Poh, ma credo che sia morto, io. (lo scuote col piede) Non muove più né piede né gamba… Poh, ha tirato gli stinchi, lui. Mio Dio, bondì! Ha cacato i raspi, lui… Te l'avevo detto?

 


APPENDICE
Note
I personaggi raggiungono un numero max di cinque attori in scena, quattro per il primo dialogo Il parlamento e cinque per il secondo Bilora.
Sia tra gli attori del primo che del secondo dialogo, nella struttura del testo, compare una figura femminile (all'epoca di Beolco, parte interpretata da uomini) che si troverà a discutere animatamente con entrambi i protagonisti, Ruzante e Bilora, sviluppando temi tutt'oggi attuali e profondamente duri, quali: il ritorno di soldati dalla guerra, l'unione tra uomo e donna, la differenza città e campagna, la povertà. Elementi rafforzati dal testo, proposto grazie a un'esposizione amara e leggera allo stesso tempo, che pone le sue basi sull'analisi della fragilità umana.
Il ritmo di recitazione estremamente sostenuto, varia a seconda dei personaggi, ed è supportato in alcune battute da termini in pavano (lingua parlata nel XVI secolo nell'area padovana, considerata una delle lingue volgari della zona italica), mantenuti dal traduttore, in quanto rafforzativi di notevole sonorità.
All'interno dei dialoghi compaiono due categorie distinte: i personaggi marito/moglie o compagno/compagna, ossia quelle figure che appartengono a forme letterarie chiamate mariazi (matrimoni), costruite su due voci contrastanti riguardo a dissidi intorno a un matrimonio; i personaggi amici/nemici, in gergo le cosiddette spalle per i primi, o antagonisti per i secondi, i quali, in entrambi i casi, rafforzano il significato dei temi presentati dal protagonista o lo contrastano addirittura fino a provocarne lo scontro fisico.
Le scene in cui si svolge l'azione sono rappresentate a Venezia, con lievi variazioni a seconda dei dialoghi. Ne Il parlamento la scena è unica, mentre in Bilora i campi visivi si distribuiscono tra strada e casa di messer Andronico, signore veneziano che ospita Dina, moglie del protagonista.
NB Particolare importanza viene data ai dialoghi, di matrice discorsiva, che rappresentano e identificano al meglio il lavoro dell'autore, la sua capacità critica nell'analisi della cruda società in cui vive, la forte componente ironica nelle battute a incastro, e quella leggera narrativa, caratteristica dell'opera di Ruzante, e di difficile conquista.

 


Interpreti
Ruolo in ordine di apparizione

Ruzante - Pitaro Claudio Michelazzi
Menato - Bilora Alessandro Maione
Gnua - Dina Ana Maria Aguilera
un bravo - servo Adriano Farella
Andronico Mattia Piombino

Messa in scena
Atanas Georgiev

Aiuto
Sara Draghi

Ensamble musicale, sulla musica di Adrian Willaert
Ester Vianello, violoncello
Daniele Zanta, violino
Maria Muciaccia, voce

Scena e accessori
Claudia Corò e Matteo Torcinovich

Costumi e trucco
Giorgia Franzoi

 


Documentazione fotografica della rappresentazione
incluse le immagini di presentazione
di Marco Ferracuti