Trionfi presenti nel dramma 'Doppio gioco'
di Gloria Deandrea
Trionfo d'Amore
Prologo
Il deuteragonista, illuminato da un unico faro, espone il trionfo d'Amore, solo, in proscenio, a sipario chiuso. L'attore si rivolge al pubblico, senza accompagnamento musicale.
Di quest'arte transitoria son tenuto a presentare
i caratteri marcati e contrapposti
che noi attori ci apprestiamo a sviluppare
sul palcoscenico: è il mestiere degli opposti.
Qui vedrete ambiguità: falso, vero, e alcune gesta
parola, azione, voce, e la battuta, che non ti entra in testa.
Dagli antichi, al medioevo, alle storie di corte
prendon forma, si delineano, relazioni cortigiane
con cui giochiamo a narrare la vita e la morte
d'imperatori, cavalieri, uomini veri e puttane.
Li offriamo a voi spettatori, sempre con Amore
di qualche svista, il difetto, non sia solo dell'attore.
Il regno della Notte dal buio ha generato
le due metà disgiunte dell'Uovo primordiale
che in separata sede, divise hanno formato
la Terra e il suo coperchio: il Cielo magistrale.
Con lui si garantisce continuità e coesione
del mondo è il fondamento, d'Amore, la passione.
Amore è tutto ciò che si volta come il vento
a chi concede toglie, a chi scosta rende
trasforma il pianto in riso, e riso fa il lamento
a tal punto compiuto: ci baratta, gioca e vende.
Quanto vale per noi la figura sì immortale,
di Amore, che Amor non si può dire, se non è tale.
Dal sogno al desiderio, dai poeti è innalzato
assunte, col prodigio, nella tradizione popolare
le sembianze dell'innocente bambino alato
con torcia o frecce, i cuori aspira ad infiammare.
Causa, poi, di ferite crudeli, bimbo apparentemente
è proprio in questo luogo, che s'indovina il Dio potente.
Non senza sua virtù s'acquista, o brama
e ciò dimostra qual sia il metallo finto o il vero
arte, scienza, sapere, onore, e fama
sempre col bianco, ben si conosce il nero.
Comprenderete come, noi attori, per essere immortali
seguendo il vivo Amore, spiegar vogliam le ali.
A B
A Michelangelo Merisi (Caravaggio), Amor vincit omnia, 1602-03
B Eros, copia romana in marmo, dall’originale bronzea di Lisippo, risalente al III secolo aC
Trionfo di Morte
Epilogo
Il deuteragonista espone il trionfo di Morte, in proscenio, a sipario aperto; mentre il protagonista rimane sdraiato, morto, in scena. In contemporanea al trionfo subentra una musica primitiva, molto ritmata, dapprima di sottofondo, poi, crescendo, diviene elemento di sostegno alla danza finale.
Indulgente spettatore, guarda e ascolta ciò che credi
la vicenda si conclude; qui mi appresto a terminare
solamente creder puoi quello che tu senti e vedi
non vi è modo di chiarire, e neppure di esplicare.
A questa morta compagnia, volta in fatti e non parole
ogni uomo è sottoposto: lo sprezzante, e anche chi vuole.
Nella rappresentazione, la sua ruota sempre gira
nessun mai sa riconoscer, prezzo, fio, e come regge
il vile, il dotto, il prode, chi sta lieto, e chi sospira
tutto il mondo è sottoposto alla sua intransigente legge.
Con il soffio degli Dei, atterra il bacio mozzafiato
che si posa, senza errore, sulle labbra del toccato.
Morte è tutto ciò che si volta come il vento
a chi concede toglie, a chi scosta rende
trasforma il pianto in riso, e riso fa il lamento
a tal punto compiuta: ci baratta, gioca e vende.
Quanto vale per noi la figura sì immortale,
di Morte, che così non si può dire, se non è tale.
Dell'arcaica Notte è figlia anch'essa, come Amore
dal Caos primigenio provocata, e del Sonno sorella
l'influente Morte s'interessa alla vita di un attore
tutto è gioco! Chi più non cammina, non favella.
Insalutato il sole, dell'umano destino aleatorio
erra l'ombra vagabonda, con fare perentorio.
(al verso: 'tutto è gioco' il protagonista comincia a rivitalizzarsi; prima apre gli occhi, poi, muove un arto. Dopodiché, si alza, si pone in centro-scena, e, seguendo la musica crescente, comincia una danza primitiva)
Nell'iconografia come uno scheletro appare
giunge la Morte che, solitamente, falcia, miete, e taglia
prima a schernire, ma, poi, anch'essa a giocare
per l'entusiasmo scosso di guanto, piastra, e maglia.
La signora dei signori, degna è della corona
riportando presto in vita l'eccellente sua persona. (indica il protagonista)
(il deuteragonista si sposta in centro-scena, accanto al protagonista; conclude l'azione verbale danzando accanto a lui)
Con dolci parole, primitivi suoni, danze e canti
(al pubblico) non possiamo il voler nostro più che la vostra voglia
per l'Amore e per la Morte, stiam danzando qui davanti
se morendo ognuno ha vita, rimaniamo sulla soglia.
Questa è l'ultima scommessa, bene o male, il giocoliere
gioca, beffa, truffa, inganna. Dell'attore, nostro è il mestiere.
Salvador Dalì, 'Ballerina in a death's head', 1939
Il trionfo è una forma specifica di scrittura, il più delle volte non soggetta a versificazione, di matrice carnascialesca. Si sviluppa in epoca medioevale, all'interno di un periodo dell'anno specifico, quello del carnevale, con lo scopo di raccontare vicende realmente accadute, integrate a figure allegoriche, proponendo al narratore la formulazione di una critica cruda, alle volte grottesca, della società del tempo. Nel medioevo, i trionfi venivano solitamente composti in volgare da popolani, conoscitori della trasposizione da lingua parlata a lingua scritta. Nonostante esistano documenti storici che riportano esempi di trionfi dotti, quindi sottoposti alle regole di versificazione, e composti da letterati illustri, uno per tutti Niccolò Machiavelli (che però si può considerare un uomo del rinascimento fiorentino), i trionfi in genere presentano una struttura compositiva libera.